Ho seguito una famiglia la cui figlia quattordicenne era rimasta vittima degli adescamenti di “Jonathan Galindo”. Uno pseudonimo di chi sa quali individui o rete di persone che, affacciandosi sui display dei cellulari di preadolescenti, li invita a partecipare a giochi che hanno tutto il sapore di riti iniziatici. Si presenta con una maschera di cane dal lungo naso con la classica punta nera come Pluto o altre figure dei cartoons, le orecchie lunghe, uno sguardo fra il furbo e il divertente. Infiltratosi nel gruppo wapp che la ragazzina condivideva con i suoi compagni di classe, ha iniziato a proporre tutta una serie di prove che avrebbero dimostrato il loro grado di coraggio, di inibizione, di appartenenza… di capacità di obbedienza. Dal registrare la mamma che cantava una canzone, al riprodurre dei disegni, al sottoporsi a giochi con corde da attorcigliare attorno al collo facendo un nodo che “sicuramente si sarebbe sciolto”. Ultimo messaggio della ragazzina sul gruppo wapp: “Ma voi avete capito come si fa questo nodo? Io non ci sto riuscendo”. Risposta di uno dei compagni: “Sì, lui l’ha spiegato. È facile. A me si è sciolto”.
Me lo ha raccontato la madre, disperata, aggiungendo: “Nella chat ne parlava come se chiedesse come si mette lo smalto per le unghie”. Proprio in questa sua osservazione, secondo me, c’era tutta la logica drammatica di questi fenomeni (con Jonathan Galindo, anche Momo o Balena Blu). In un mondo svuotato di contatti reali, dove gli adolescenti hanno trovato nelle varie ondate di lockdown l’avallo e l’amplificazione di una tendenza già grandemente diffusa a rifugiarsi nel mondo virtuale, vita immaginata e vita concreta si confondono, ogni profilo – sia pure una maschera – è credibile, tutto è possibile e quindi tutto è banale. Mettersi lo smalto o allacciare un cappio al collo sono pari.
Non c’è solo l’Hikikomori che risucchia le energie dei nostri giovanissimi, né ci sono famiglie esenti da questi pericoli: anche i ragazzini più sereni e ben seguiti sono facile preda di queste challenge che li adescano sventolando miraggi di successo e fama: “Andrò negli USA e diventerò famosa, sai, mamma?“ – le diceva spesso la ragazzina da qualche mese.
Sono fenomeni di portata globale e frutto di un contesto culturale in cui noi stessi siamo immersi, ma situazioni come queste (e sono numerosissime!) non possono non interpellare ogni genitore, ogni docente e chiunque abbia responsabilità educative e formative. E chi si prende cura non può mai arrendersi, mai rinunciare a trovare una via o a fare qualcosa. Cosa? Beh… forse dovremmo iniziare già da quando sono piccolissimi a non dar loro il cellulare per passare tempo con Beppa Pig, forse dovremmo – man mano che crescono – essere esempi di adulti non condizionabili e non interessati alle tante meteore che i media propongono, forse dovremmo essere più guardinghi e controllarli anche quando sembra che vada tutto bene.
La Gestalt ci insegna che una regola fondamentale della percezione – e di conseguenza del nostro valutare e agire – è la dinamica figura/sfondo. Secondo questo criterio, più che combattere qualcosa che non ci sta bene, dobbiamo alimentare il suo opposto: perché il virtuale sia meno interessante, dobbiamo quindi rendere più attraente il reale, perché ci parlino della loro vita, dobbiamo iniziare a raccontare di ciò che ci sta a cuore e che ci piace, perché non sognino una vita da soubrette di successo dovremmo farli sentire già interessanti e belli nella loro quotidianità. E non dobbiamo sognarla neanche noi! Toglierci noi adulti le maschere dietro cui a volte ci nascondiamo e mostrare il nostro vero volto. E forse anche tutto questo non funzionerà e non basterà perché sappiamo tutti quanto è facile lasciarsi suggestionare e adescare, ma almeno possiamo provarci. Già il parlarne è qualcosa. Confrontarci, informarci. Conoscere per prevenire e farlo insieme. Sogno luoghi dove adulti si incontrano non per giocare a burraco ma per condividere preoccupazioni e soluzioni… e per stare insieme e gioire insieme. E magari per pregare insieme. Sicuramente vi troveremmo i visi più belli di qualsiasi maschera: gli occhi lucidi di tenerezza di chi sa che sta facendo tutto il possibile per le persone che ama.
Agata Pisana
Didatta della Scuola di Formazione
in Counselling Socio-Educativo
Istituto di Neuroscienze e Gestalt “Nino Trapani”