La vita morta e la morte viva: il suicidio cuce l’impossibile attorno al nodo di una domanda che non ha soluzione, ma che appare continuo interrogarsi sul senso. Accade in piena morente vita e in vuota vivente morte come una soglia aperta sul mistero. Al crocevia della legge della logica che pare costringere al suicido come ultimo atto di autodeterminazione individuale, con la legge della follia che sembra indurre l’atto estremo secondo una logica di sovvertimento. Il suicidio è una delle grandi aporie della vicenda umana: la tragedia greca ne porta esempi iconici in Aiace e Ippolito, la psicoanalisi costruisce uno dei suoi nuclei concettuali fondativi attorno alla dinamica del lutto e della melanconia, la poesia sembra danzare costantemente alla soglia tra la pulsione della morte che costringe al parto del verso e la pulsione poietica della vita che ancora tenta la creazione. E quale natura del suicidio nella modernità liquida e ipertecnologica? Quale interpretazione per i dati del crescente numero di suicidi nella società occidentale in particolare modo nei giovani? Si può tentare di percorrere in forma aporetica la migrazione semantica e ontologica del suicidio nell’oggi, non certo per trovare risposta all’ossimoro costitutivo che lo abita, ma per continuare, anche tragicamente, ad interrogarlo.