Angeli,
che chiudete le porte del sogno,
angeli,
che aprite le nostre speranze,
angeli
che non avete terra né riposo mai
in quanto l’amore
è il lungo riposo del sogno.
Angeli,
che riposate in Dio
e siete la dinamica del suo pensiero,
ascoltate il sollievo della terra
e il respiro della materia,
l’ombra della luce,
il colpo della dura disperazione.
Angeli
che portate ovunque il pane celeste
e le cui labbra non sono mai
state baciate
nemmeno dal pensiero.
Voi non avete labbra né cuore
Eppure siete un sogno
del purissimo amore.
Il vostro mistero è nel volo.
Ogni volta che Dio pensa
crea un angelo e lo deforma
a seconda del suo pensiero.
Noi uomini della terra
siamo deformati da voi,
siamo gobbi, storpi, silenziosi amanti,
non avremo mai il vostro distacco
dalla terra e dal cielo.
(Alda Merini, in Magnificat)
Chi sono gli angeli per la poetessa dei Navigli e quali suggestioni le hanno suggerito? Sono custodi, messaggeri, protettori dell’uomo…? Certo il tema le è molto caro, dato che le dobbiamo addirittura un’intera raccolta dal titolo La carne degli angeli, a cui però questa lirica non appartiene, perché inserita nel Magnificat, nella più ampia Mistica d’amore.
Leggendo questi versi a me pare si respiri a pieni polmoni, anche se non tutto è immediato; non c’è traccia, comunque, di una sdolcinata visione romantica nelle continue invocazioni che danno ritmo alla lirica, la quale certamente si muove attorno a nuclei ben precisi, quasi che la narrazione poetica segua fili ideali per dipanare l’impalpabile essenza delle creature angeliche.
È il sogno il primo luogo di definizione: “essi sanno chiudere le porte del sogno degli uomini”, quasi come uomini di scena che chiudano un sipario sulle notti gremite di immagini, ma sono anche esperti di sogno come luogo di profondo riposo. Come non pensare qui all’angelo che nei Vangeli appare in sogno a Giuseppe e lo ammaestra, come pure ai Magi avvisati in sogno dagli angeli di cambiare strada per il loro ritorno? Un sogno che nasce dall’Amore di Dio per l’uomo, pare dirci qui Alda echeggiando la Scrittura, definendoli più avanti “sogno del purissimo amore”, come gli angeli che intoneranno il “Gloria” attorno alla capanna di Betlemme.
Eppure è un sogno che non conosce riposo materiale: ed è il riposo l’altro filo che si stende lungo tutta la lirica. Quel riposo che sappiamo quanto nella stessa vita travagliata della poetessa sia stato ricercato. Quella tregua dal dolore e dalla follia con le sue conseguenze, ora, appare qui nettamente connessa sia con l’uomo, che con Dio : c’è un riposo che si lega alla terra (“voi non avete né terra né riposo”, quindi non siete soggetti alla caducità umana), ma pure “voi riposate in Dio” (quindi godete la quiete di una eternità celeste che appartiene solo al Creatore).
“Perché ogni volta che Dio pensa, crea un angelo e lo deforma”: qui, a mio avviso, la Merini tocca vette sublimi, forse talmente irraggiungibili che ogni lettore può coglierne un minimo frammento. Finalmente si rivela la definizione tanto attesa: voi, angeli, “siete la dinamica del suo pensiero”. Quindi non solo pensiero, ma anche pensiero in movimento. Eppure è un pensiero deformato, non distorto, ma “de-formato” come assenza di una forma ipotizzata dall’uomo e applicata ai pensieri di Dio. Come non risentire l’eco del libro di Isaia : “i miei pensieri non sono i vostri pensieri, le vostre vie non sono le mie vie… “?
Pensiero che ha altra forma, dunque, è quello di Dio, ma pensiero che ogni volta che esce dalla mente di Dio diventa un angelo, e così ogni angelo è fatto di sostanza di puro amore, di custodia e cura nei confronti dell’uomo. Ed è una custodia che sa misteriosamente volare, perché, altro filo nella lirica, “il vostro mistero è nel volo”, mentre tante volte la protezione dell’uomo opprime il proprio oggetto. Pensiero che sa anche volare per farsi cibo dell’uomo, “portate ovunque il pane celeste”: si adombra qui il mistero dell’Eucarestia, ma anche del cibo spirituale che tanti personaggi nella Bibbia scambiarono con gli angeli, uno fra tutti Abramo che riceve i tre angeli sotto le querce di Mambre e li sfama con focacce in cambio dell’annuncio della nascita di un figlio…
Nonostante tutto, però, la materia rimane pesante, e Alda sembra quasi diventare rauca mentre invoca: “ascoltate il respiro della materia, l’ombra della luce, il colpo della dura disperazione”. Qui la lirica si fa invocazione commossa, pare dire che l’uomo è pesante, soffre molto, ha un corpo che proietta ombre per la propria imponenza, e spesso la terra dà sollievo, oppure non ne dà affatto, insieme a riposo non ottenuto. E così l’uomo si deforma a sua volta, ed ogni uomo della terra è deformato dagli angeli che gli stanno accanto, spesso senza farsi vedere.
Se infine l’angelo è diversa forma del pensiero di Dio, sembra adombrare la Merini, la vicinanza di questi custodi per l’uomo è nuova deformazione, cioè spazio in cui essere imperfetti in quanto creature libere. Perché l’uomo è libero, tragicamente libero di scegliere tra bene e male, e si imbratterà continuamente di terra e di cielo, di caduta e redenzione, di colpa e perdono… senza poter mai raggiungere un distacco armonico da terra e cielo. “Noi uomini della terra siamo gobbi, storpi, silenziosi amanti”, deformati certo, ma anche capaci di avere labbra che sono state baciate dal pensiero di Dio, mentre agli angeli questo non è toccato. Come non ripensare alla stupenda strofa della canzone di Ivano Fossati: “Verremo perdonati, te lo dico io, da un bacio sulla bocca un giorno o l’altro….”.
Chiara Gatti