Il tema della maschera porta subito a riflettere sul dualismo “Essere e Apparire” nel quale la maschera, portavoce dell’Apparenza, è l’oggetto che nasconde o permette di far venire alla luce una parte dell’individuo che, fino a quel momento, è rimasta nell’oscurità, come afferma anche William Shakespeare quando scrive “Nascondi ciò che sono e aiutami a trovare la maschera più adatta alle mie intenzioni”.
L’origine della parola maschera, secondo le ipotesi più accreditate, risale al latino medievale “mascha” (fuliggine, fantasma nero); secondo altre ipotesi, indicherebbe la figura della strega; in effetti, durante il Medioevo, le maschere utilizzate in rappresentazioni sacre o profane raffiguravano soprattutto esseri demoniaci. In entrambi i casi etimologici, la maschera rappresenta comunque e sempre una deviazione dello spettatore dalla realtà e dalle verità del mondo.
Anche il filosofo tedesco Arthur Schopenhauer, grande studioso e filosofo dell’inizio ’800, coniò per primo il termine “velo di Maya” come espressione di una illusione che impediva all’essere umano di fare esperienza della Verità, di comprendere il principio assoluto della realtà e, per questo, il velo di Maya rappresentava il principio di una “maschera allegorica” che nascondeva la realtà delle cose agli uomini: solo strappando via questo velo, l’uomo potrà conoscere la verità ed il mondo reale.
Anche Pirandello gioca sul principio della frammentazione, sia della realtà che della personalità dell’individuo; per arrivare a distinguere la realtà dall’apparenza, l’uomo deve superare sia le illusioni ottiche che le illusioni che risiedono nell’anima; le verità che diamo per scontato essere vere, sono proposte dal nostro cervello che non ci permette di distinguere tra il vero ed il falso.
In questo eterno gioco di ruoli, l’uomo è un essere che vaga tra la maschera di sé stesso – continuamente alla ricerca di un’immagine migliore di sé – e la realtà che vive interiormente, senza porsi la domanda su chi sia realmente.
In tale rappresentazione metafisica, la maschera entra a far parte dell’esperienza stessa dell’uomo, divenendo il nascondiglio del suo vero essere; la maschera non è soltanto il trucco degli attori che recitano su un palco, ma diviene anche il trucco di ciascun essere umano, in ogni momento del vivere quotidiano, usato nel relazionarsi con gli altri esseri umani, con la realtà quotidiana, con le proprie paure ed aspirazioni.
Così, l’essere umano indossa la maschera di studente o di insegnante, di figlio o di genitore, di amico o di amante, nel tentativo di ripararsi dall’ignoto, di comprendere il bene o il male, di fare la cosa giusta.
Il questo palcoscenico della vita, indossare la maschera non significa essere falsi o altri da sé, ma esprime il bisogno, fin dalla nostra nascita, di sostenere al meglio dei ruoli, alcuni scelti da noi ed altri imposti, per portarli a termine nel migliore dei modi.
La domanda che potrebbe sorgere è: siamo davvero sempre e in ogni occasione noi stessi, spontanei ed autentici? Ovvero, l’uomo ha solo due strade: l’ipocrisia, ossia l’adeguamento passivo al suo essere una maschera, oppure vivere consapevolmente senza una maschera che lo preservi dall’ignoto della realtà quotidiana e, soprattutto, dall’imprevedibilità del futuro?
I personaggi di Pirandello scelgono la seconda strada, sono sempre solitari e parlano con sé stessi, come se uscissero da sé stessi per vedersi dal di fuori, per comprendere meglio il contrasto tra la vera vita e la maschera, affinché non vengano sopraffatti dalla maschera che la società gli impone, per costruire un’immagine da mostrare, qualcosa che non sempre corrisponde a come si vuole essere, anche a costo di pagare un prezzo molto alto.
D’altro canto, anche quando si indossa una maschera per troppo tempo, si rischia di pagare un prezzo molto alto, poiché la maschera condiziona la natura intima di chi la indossa, inducendo l’individuo a diventare esattamente quella maschera e non più sé stesso.
Indossare una maschera ci trasforma e, mentre la società ci preferisce individuati e unici, la maschera ci permette di andare oltre, svincolandoci dall’identificazione con un unico e permanente io: uno, nessuno, centomila di Pirandello.
Simonetta Carbonara
Counsellor professionista
Istituto di Neuroscienze e Gestalt Therapy
“Nino Trapani”