Gli indiani del nord America, in particolare le vicine tribù Cheyenne e Lakota, costruiscono un acchiappasogni (dreamcatcher) ogni volta che nasce un bambino, e lo collocano sopra la sua culla. Lavorando il legno molto duttile del salice, plasmano un cerchio, che rappresenta l’universo, e intrecciano al suo interno una rete simile alla tela del ragno. Questa ragnatela ha il compito di catturare e trattenere tutti i sogni che il piccolo farà. Se si tratterà di sogni positivi, il dreamcatcher li affiderà al filo delle perline (le forze della natura) e li farà avverare. Se li giudicherà invece negativi, li consegnerà alle piume di un uccello e li farà portare via, lontano, disperdendoli nel cielo. È un modo di proteggere dalle paure della notte e del buio i piccoli, ma anche un modo di focalizzare l’attenzione degli adulti al raggiungimento di obiettivi di bene, facendo buon uso dei sogni, perchè nella loro leggenda la rete trattiene le visioni buone, mentre quelle cattive se ne vanno attraverso il foro centrale.
In Gestalt Therapy il lavoro sui sogni non opera questa separazione tra sogni ‘belli’ o ‘brutti’, perché tutte le parti del sogno appartengono a chi sogna, e in quanto tali hanno un motivo d’essere, portano un messaggio relazionale. Il sogno viene considerato dalla Gestalt come «l’espressione più spontanea dell’esistenza dell’essere umano», è la “proiezione” di parti di sé frammentate e alienate che chiedono di essere viste, consapevolizzate ed integrate, al punto che F. Perls, considera il sogno la “via regia all’integrazione del Sè”, parafrasando Freud, e poiché il Sé è in Gestalt Therapy un termine assolutamente relazionale, si opera un passaggio epocale dall’intrapsichico alla traità interpersonale. Scrive Perls: “Ogni parte del sogno sei tu, è una tua proiezione… e dobbiamo riappropriarci di queste parti proiettate e frammentate della nostra personalità, e riappropriarci del potenziale nascosto che compare nel sogno”, non solo per la crescita del bambini (il sogno infantile viene molto usato in Gestalt Play Therapy facendolo rappresentare come gioco in gruppo), ma anche per la maturazione degli adulti, sia persone in cammino in un percorso di psicoterapia personale, sia per coloro che hanno scelto di prendersi cura dell’altro da sé: genitori, insegnanti, medici e tutte le professioni educative e sanitarie.
Tra le tante leggende sull’acchiappasogni mi piace narrarvi questa: “In un villaggio Cheyenne viveva una bambina il cui nome era Nuvola Fresca che un giorno raccontò alla madre, Ultimo Sospiro della Sera un suo sogno ricorrente: ‘Quando scende la notte, spesso arriva un uccello nero a nutrirsi, becca pezzi del mio corpo e mi mangia finché non arrivi tu, leggera come il vento e lo cacci via’. Con grande amore materno Ultimo Sospiro della Sera rassicurò la piccola dicendole: ‘Le cose che vedi di notte si chiamano sogni e l’uccello nero che arriva è soltanto un’ombra che viene a salvarti’. Nuvola fresca rispose: ‘Ma io ho tanta paura, vorrei vedere solo le ombre bianche che sono buone’. Allora la madre inventò una rete tonda per pescare i sogni nel lago della notte, poi diede all’oggetto un potere magico: riconoscere i sogni buoni, cioè quelli utili per la crescita spirituale della sua bambina, da quelli cattivi, cioè insignificanti e ingannevoli. Ecco dunque l’origine della creazione dei dreamcatcher”.
È chiaramente una origine affettiva primaria nella diade madre-figlia ed in una lettura gestaltica è un messaggio relazionale significativo per l’integrazione del Sé della bimba in crescita verso una capacità di contatto sano nel mondo.
Paola Argentino