Grandi risonanze mediatiche dietro lo scontro elettorale negli USA cui abbiamo assistito in questi giorni. Un professionista del prendersi cura sa che il clima economico, sociale, culturale influisce notevolmente sugli stati d’animo e che non può capire l’altro se non lo considera nel contesto in cui vive, per cui occuparsi di quanto avviene nel mondo è sempre doveroso, ma in questo caso c’è qualcosa di più: un’ondata di valori ne ha sbalzata fuori un’altra e ha dovuto lottare anche aspramente, fino all’ultimo sangue (all’ultimo voto), per riuscire a farlo. Da un lato la sicurezza autoreferenziale, dall’altro la collaborazione. Da un lato la sfida come modalità relazionale, dall’altro il tendere la mano per far rialzare l’altro.
Non è scontato sentire un candidato ad essere il major che dice ad un bambino, in pubblico: «Lo so bene io cosa significa essere bullizzati, ma ce la farai».
Milioni di elettori e con loro oceani di opinione pubblica hanno tifato per un uomo che ha subito lutti tremendi ed è andato avanti, che è stato gravemente ammalato e si è ripreso, che viene da una modesta famiglia e che ha fatto della preparazione culturale la sua via di risalita dato che a 26 anni aveva già conseguito due lauree, che è riuscito a muoversi nei palazzi del potere da numero due senza atteggiamenti di rivalsa o di prevaricazione (pubblici gli elogi che ne ha fatto il suo numero uno), e che da subito ha condotto la competizione elettorale non da solo ma in tandem con la vicepresidente designata, ambedue professionalmente provenienti dal modo della giustizia (e anche questo è significativo).
E di quale clima allora ci parla questa vittoria? Perché è così importante? Perché ci dice tutta la voglia di dire a se stessi e agli altri che la serietà e la competenza professionale sono da celebrare sempre (non solo nelle corsie degli ospedali a fianco agli ammalati), che l’uomo che ha sofferto ha una marcia in più, che le relazioni che vincono non sono quelle in cui si primeggia, che la forza non viene dai successi ma dalla fedeltà al proprio cuore, che la credibilità di una persona la fa la sua storia, che non è vero che i sacrifici non vengono mai ripagati e che studiare sia “roba da perdenti”. Che ogni uomo può farcela, perché «la capacità di resilienza è costitutiva dell’uomo. È una sua dote. L’assurdità delle circostanze, il trauma di eventi improvvisi che stravolgono le nostre certezze, la fatica di un attendere a lungo e invano, per non parlare della cattiveria altrui e delle sensazioni laceranti che attanagliano il nostro cuore ferito sembrano tante volte insormontabili e senza possibilità di esito, ma sta di fatto che generazioni e generazioni hanno da sempre tollerato i dolori peggiori, avendo il coraggio di mettere al mondo dei figli anche in piena guerra, fra atrocità inenarrabili: inno alla forza innata dell’uomo che è fatto per la vita e che nella vita riesce ad avanzare comunque» (G. Salonia).
E perché ci ricorda che un po’ tutti oggi abbiamo bisogno di risentire queste parole e di crederci per tramettere quella fiducia in se stessi e nel futuro che le persone di cui ci prendiamo cura hanno bisogno di ritrovare. Sarà questa – forse – la tessera elettorale giusta che ognuno di noi imbucherà nelle urne della propria vita.
Agata Pisana
Docente Master in Counselling Socio-Educativo