Se c’è una cosa che nessuno di noi può mai decidere è quando nascere e dove. Lì veniamo collocati dalla vita e da lì possiamo iniziare a fare le nostre scelte. Edipo nasce da una situazione su cui incombono pronostici tremendi, da genitori che cercano di sbarazzarsi di lui, in una città dove regna già il caos. E dai suoi sciagurati genitori ricadranno su di lui fiumi di sciagure. Agli occhi dei cittadini di allora e di tanta letteratura che ne ha tramandato la storia sembra solo un arrogante che vuole troppo, un insaziabile forse, un immorale. Ma in effetti le cose non sono andate così: ignorava l’origine della sua nascita, ignorava che quella donna che gli era toccato di sposare fosse sua madre e non poteva dunque essere responsabile di quanto fosse accaduto. E ha espiato, con coraggio direi (certamente con disperazione e dolore), per i torti inconsapevolmente commessi. L’Edipo a Colono ce ne darà testimonianza.
A volte tutta la nostra vita è un vivere di rendita per la fortunata condizione in cui si è nati, altre volte è un pagare le conseguenze della propria sorte o un cercare di liberarsi da una eredità che lo infanga e lo schiaccia. Così è stato per Peppino Impastato o Rita Adria, ma – con carattere più personale che sociale – così è per tutti coloro che con grande sofferenza cercano di far propri valori che in famiglia non hanno trovato, di non commettere sbagli di cui hanno subito le conseguenze, di recuperare una capacità di contatto che relazioni frustranti hanno intaccato. In questo “essere un filo teso fra la bestia e il superuomo” – direbbe Nietzsche – è forse la condizione più drammatica e alta dell’essere umano: ristagnare, crogiolarsi, o provare a riscrivere la propria biografia secondo scelte coraggiose e audaci che mi appartengano e che mi qualificano come persona unica e speciale?
Crescere è “combattere la buona battaglia”, che per molti è compiere un lungo percorso di liberazione dal passato e di riscrittura di una storia nuova, più libera e serena, fatta di calore laddove assenze affettive hanno raggelato le viscere, di fervore nonostante i tanti “no” ricevuti, di fiducia anche senza appigli per sperare. Fra le ultime battute del dramma di Edipo c’è quella scultorea affermazione per cui bisogna attendere l’ultimo giorno per dire se è stata felice la nostra vita, e in questo clima pasquale direi che in un’ottica di fede bisogna attendere oltre la morte terrena per dare definizione al successo o meno della nostra vita. Quanto è vero! E per questo, fra le tante possibili risonanze che la storia di questo così narrato, sfruttato e frainteso mito ci offre, a me è piaciuto condividere proprio questa declinazione di una vita che è sempre ancora tutta da giocare e in cui possiamo essere vincitori grazie al nostro coraggio (agire col cuore) e all’incontro con persone giuste che sappiano aiutarci. Senza dimenticare che possiamo essere noi le persone giuste che gli altri possano sperare di incontrare.
Agata Pisana