Gli adulti che vivono ruoli educativi, ultimamente guardano gli adolescenti con occhi preoccupati, perché hanno la sensazione che il lockdown stia producendo in loro effetti difficili da fronteggiare. Ritiri sociali estremi, trasgressioni di gruppo che si fanno beffe delle regole anti covid, depressioni evidenti di chi se ne sta tutto il giorno a letto e non sa come riempire il tempo, didattica on line come unica possibilità di relazione quotidiana. A fronte di queste cose l’adulto è preoccupato e la domanda del titolo in realtà ne svela un’altra: cosa possiamo fare per loro.
Così, nel tentativo di comprendere gli effetti del lockdown sugli adolescenti, è possibile mostrare innanzitutto che gli adolescenti hanno reazioni molto diverse tra loro: abitatori di nicchie, tecnici della sopravvivenza, “Self imaginator” potrebbero anche dire di non disdegnare il lockdown, che sembra aumentare le possibilità per dare corpo alle loro strategie di compensazione. Al contrario spaesati, leoni in gabbia, galleggianti disperati, sembrano mostrare tutta la fatica adolescenziale di fare i conti con questa pandemia.
Ma si trovano anche costruttori pazienti del puzzle di sé stessi o figli di famiglie tutto sommato solide, che mostrano come sia possibile attraversare questo periodo non come una semplice parentesi da subire o di cui approfittare, ma come luogo per vivere, effettivamente vivere.
È probabile, però, che almeno qualche linea tendenziale comune a tutti gli adolescenti si possa rintracciare, per aiutarci insieme a “leggere” meglio che si può questa situazione. Ad esempio: questa pandemia crea davvero situazioni nuove per i giovani o moltiplica le tendenze presenti già prima? Li spinge a “ricucire” maggiormente le parti di sé (testa, cuore, copro) o a selezionare di più quelle da tenere on line e quelle da lasciare off line? E ancora gli adolescenti, tutto sommato, stanno reagendo meglio o peggio di quanto, forse, si potesse pensare?
Ecco perché poi, diventa utile riflettere anche su ciò che l’adulto può fare, come conseguenza di una lettura più adeguata del mondo giovanile.
Se sia o meno sufficiente continuare ad avere l’atteggiamento educativo di sempre o se si debba trovare aggiustamenti proprio per ciò che tutti stiamo vivendo.
Se la nostra modalità di comunicare debba essere rivisitata o se una buona comunicazione possa anche ora essere ciò che essenzialmente un adolescente si aspetta da un adulto che dica di volersi prendere cura di lui.
Se si debba ritrovare maggiore autorità nella gestione dei loro comportamenti o se invece, l’autorevolezza, possa essere stimolata dall’adulto, ma poi riconosciuta dall’adolescente. Se sia più utile scendere a patti sul loro comportamento o invece debba prevalere una logica rigida e impositiva. E ancora: da quali paure si debba metterli in guardia maggiormente, quella di ammalarsi e morire o quella di non vivere i propri anni. E come fare a riconoscere il valore dei dati di realtà della pandemia, rispetto alla interpretazioni più o meno falsificanti fatte “pro domo” propria.
Evidenti questioni che interpellano l’adulto in quanto tale, ancora prima del suo ruolo educativo. Quindi, alla fine, si potrebbe anche scoprire che gli atteggiamenti di fondo dell’adulto nei confronti del vivere nel lockdown potrebbero essere più rilevanti, in termini educativi, che non le singole strategie messe in atto, perché si educa per come si è, non per ciò che si fa.
Gilberto Borghi
Docente Master in Counselling Socio-Educativo