“Zhen, Zhian, Assadi” (donna, vita, libertà) è il grido che risuona di parallelo in parallelo contro l’abuso imposto da leggi repressive e da un servizio di polizia violento. E intanto anche in Paesi democratici e “liberi”, le donne continuano a morire per mano di omicidi, folli di gelosia e di prepotenza. Venti di guerra catturano l’attenzione dei media e sconvolgono la quotidianità europea senza che sia chiaro chi, come, perché e da quanto tempo si sta combattendo. Sembra esserci un colpevole, ma sappiamo tutti che non si tratta di un lupo contro un agnello. Narrazioni che non convincono, testimonianze contraddittorie, alleanze pregresse e ancora non del tutto svelate ci inquietano e ci fanno pesantemente diffidare di ogni possibilità di documentazione credibile e di giudizio certo. Cronache giornaliere di truffe organizzate con connivenze insospettabili. Vergognosi teatrini da parte di uomini cui migliaia di cittadini hanno dato la propria fiducia e che, invece di aiutarli a portare avanti le loro baracche, si trastullano in biechi giochetti di accaparramento di potere. Disastrosi effetti di una industrializzazione irresponsabile e calamità naturali completano il quadro.
Quante immagini, quanti volti ci scorrono fulminei davanti agli occhi! Quanta tristezza! Sperimentiamo un forte senso di disorientamento e di frustrazione. Ci sentiamo un po’ tutti ad un passo dal cadere nella perniciosa passività della disillusione. Cosa possiamo fare? Io o tu cosa possiamo fare? “Andare avanti” è la risposta più immediata e forse più pertinente.
Ma su questo va fatto un distinguo fondamentale: andiamo avanti costruendo o distruggendo? È vero che non abbiamo in mano né le sorti del cielo né quelle della terra, ma dobbiamo per questo passare il tempo a lamentarci e imprecare? No. Sarebbe un contribuire a distruggere. Una logica costruttiva induce a fare ciò che si può fare: sia apparentemente piccolo e insignificante, se si può fare va fatto. E sul discernimento riguardo a ciò che, fra le tante cose che possiamo fare, è più utile, la Gestalt mi ha dato una luce di cui sarò sempre grata. Come infatti un’ape continua incessantemente a cercare il polline di fiore in fiore, come una mamma continua ad accudire il proprio bimbo nelle sue necessità, così un gestaltista resta un tessitore di relazioni in ogni momento e in ogni circostanza. Quasi noncurante di ciò che lo circonda a livello socio-politico, dei peggiori pronostici e degli evidenti fallimenti di tante speranze, mantiene fisso lo sguardo su ciò che alla fine è più importante sempre e in ogni ambito, su ciò attorno a cui – come ci ricorda magistralmente Giovanni Salonia – si gioca la vera felicità: le relazioni.
La relazione senso ultimo, origine e scopo di ogni istante di vita. Una relazione in cui ognuno “ci mette la faccia” e, fidandosi e affidandosi, si espone e accoglie, si dona ma rispetta se stesso e l’altro. Gli antichi filosofi definivano arkè ciò che poteva essere l’inizio, la fine e l’essenza di ogni cosa e per secoli sulla definizione di esso sì avvicendarono letture e ipotesi ardite, ma davvero possiamo affermare che non solo “in principio era la relazione”, ma da sempre e per sempre è la relazione ciò che è più importante di ogni altra cosa. Ciò che, se purtroppo può distruggere, riesce anche a salvare.
Ci vuole competenza. Ci vuole uno stile acquisito alla scuola di una mano esperta che, passo dopo passo, ce lo abbia trasmesso perché possiamo noi fare altrettanto con altri. Uno stile fatto di chiarezza e coerenza. Mantenere un atteggiamento di autentico impegno a stare accanto a chi sta male, a restare veri anche quando le circostanze risultano complesse, a rifuggire da ambiguità e tornacontismi, come da pusillanimità o prevaricazioni. Restare sinceri sempre. Omettere se necessario, ma non mentire. Credere in una intenzione buona anche quando non comprendiamo. Guardare anche nelle situazioni più difficili al prossimo passo possibile e non a come ci si è arrivati. Restare in contatto col proprio corpo per poter gustare la presenza dell’altro. Tenere la giusta vicinanza. Far tesoro di ogni esperienza. Saper riconoscere i propri errori senza per questo perdere la fiducia nella possibilità di ritrovarsi. Esprimere i sentimenti. Continuare a tenere vivi dentro di noi anche i volti che non possiamo più vedere, raggiungere col cuore i volti lontani che desideriamo, accarezzare i vicini anche con piccoli semplici gesti di cura appassionata. Il mondo ci può crollare addosso, ma la nostra terra non trema se il nostro stile è “io ci sono, per te e per me”.
Forse possiamo allora dirlo senza timore di essere blasfemi che la relazione è ciò “che atterra e suscita, che affanna e che consola”. Tanto sappiamo a cosa per i credenti la relazione rimanda… quale Volto cerca in ogni volto.
Agata Pisana
Didatta della Scuola di Formazione
in Counselling Socio-Educativo
Istituto di Neuroscienze e Gestalt “Nino Trapani”