“Cadano le armi, si costruisca la pace totale… Mai più la guerra!”: sono parole pronunciate il 4 ottobre 1965 da Papa Paolo VI dinanzi ai rappresentanti di tutti gli Stati dell’ONU. Nel 1917 Papa Benedetto VX aveva gridato “Fermate questa inutile strage!”. Appelli rimasti inascoltati. Nel 1795 Emmanuel Kant aveva provato a definire le coordinate necessarie perché si potesse instaurare una “Pace perpetua” e – fra queste – aveva con chiarezza incluso la assoluta necessità di una demilitarizzazione, ma erano stati necessari gli orrori della seconda guerra mondiale, la minaccia di una catastrofe nucleare e soprattutto (purtroppo!) la constatazione della infruttuosità economica di una “corsa agli armamenti” per indurre i potenti verso politiche tendenti ad una coesistenza pacifica. Eppure la storia che stiamo vivendo in questo momento ci riporta – sgomenti – verso la ennesima tragica constatazione di quanto sia difficile non ricorrere alla guerra. La vis tragica della cultura classica proprio a questo faceva riferimento: l’impotenza dell’uomo di fronte al destino, di fronte agli dei, di fronte all’umanità stessa. Quell’auspicio ciceroniano che la storia potesse essere “magistra vitae” resta chimera: gli uomini non imparano e tornano a scontrarsi, a usare la forza e a negare così la parte migliore di sé.
Ho letto una volta una poesia anonima che diceva: “Ci vuole così poco per star bene, ma non ci proviamo”. Quanto è vero! Le vittorie acquisite con la forza non pagano. Uccidere non salva nessuno. Ce lo ricorda con spietata consequenzialità la vicenda di Agamennone: aveva ucciso (o così credeva di aver fatto) per vincere la guerra, torna trionfante ed è lui a venire ucciso dalla moglie e dall’amate di lei. La moglie pensa che uccidendolo ha restituito una vittoria alla figlia che dal padre era stata uccisa e verrà invece lei stessa uccisa dall’altro figlio Oreste. Da subito il coro lo aveva preannunziato: “Chi godè buona fortuna offendendo giustizia, o prima o poi, nella vicenda mutevole degli anni, le nere Erinni lo estinguono”, ma Agamennone si era illuso – ancora una volta, lui come tutti gli altri che scelgono la guerra – di riportare la vittoria definitiva del male sul bene. E si è sbagliato.
Si sbaglia chi pensa che il male possa dare benessere: chi fa il male sta male e “raccoglie tempesta”. Non so cosa ci sarà scritto nelle pagine future della storia, ma di una cosa sono certa: finché c’è sdegno di fronte all’ingiustizia, orrore di fronte alla brutalità, forza di ribadire che rifiutiamo la guerra come mezzo di risoluzione delle controversie fra gli uomini e fra i popoli e che vorremmo non ci fossero violenze né prepotenze, qualcosa di buono sta accadendo. È la rivoluzione umana di cui parla il grande Mounier: “L’uomo libero è l’uomo che il mondo interroga e che al mondo risponde”. La fiducia sconfigge la violenza. La responsabilità dà dignità. Una cordata di buone intenzioni e di azioni efficaci stradica anche i mali più consistenti. L’impegno a che questa fiamma di desiderio di bene si mantenga accesa dentro i cuori e si propaghi può incendiare il mondo. Finché resta vivo il dissenso allora, finché testimoniamo, gridiamo, denunziamo, facciamo tutto ciò che nel nostro piccolo possiamo fare di bene, il Bene vince. E quelle pagine di storia potranno riportare titoli di cui l’umanità possa andare orgogliosa.
Agata Pisana