Nel 1914, in vari luoghi sul fronte franco-tedesco, nei giorni attorno al Natale, i soldati spontaneamente sospesero le operazioni di guerra e fraternizzarono scambiandosi addirittura gli auguri in un condiviso e spontaneo “cessate il fuoco”. Pregarono insieme, giocarono a calcio squadra “contro” squadra, condivisero le loro scorte di cibo, poi ripresero ad uccidersi a vicenda, ubbidendo agli ordini degli ufficiali, che – pur sapendo – avevano anch’essi per qualche giorno “rispettato il Natale”. Né si ebbero punizioni per questo temporaneo disertare gli ordini. Chi avrebbe potuto criticare dei giovani che avevano voglia di Natale anche in mezzo alla guerra, anche con i nemici? Ma il nemico era consenziente.
Oggi abbiamo invece un nemico diverso, che non ha alcuna memoria del Natale, che non obbedisce ad una coscienza e non ha ricordi che lo incantino: che non è umano. Paradossalmente quasi, nonostante le tante invettive che, con buone ragioni, potremmo lanciare contro l’insensatezza per cui da sempre gli umani si sono scontrati a vicenda e hanno commesso atrocità inqualificabili, essere umani oggi torna ad acquisire la sua migliore accezione: essere capaci di solidarietà e di generosità anche eroica, essere responsabili l’uno per l’altro… saper rinunciare al Natale tradizionale per aumentare le precauzioni reciproche.
Certo, costa frenare dentro di noi quel richiamo che riuscì allora a bloccare eserciti in guerra, costa pensare ai nonni che forse non hanno nemmeno qualcuno in casa che possa accendere loro un pc per un collegamento diretto, costa non vedere i tanti pacchetti sotto gli alberi. Portano tristezza quelle pubblicità natalizie che categoricamente celebrano una notte di attesa trascorsa nelle piccole gioie della famiglia ristretta, senza le consuete scene di pranzi coi nonni rubicondi che avevano sempre da tirar fuori un pacchetto a sorpresa per gli occhioni sgranati dei nipotini. Ha il sapore di qualcosa di desueto che non rallegra il luccichio degli alberi che ostinatamente continuiamo a esporre dietro le finestre o a postare su Instagram. E quel timido affacciarsi alle vetrine dei negozi, affrettandosi poi, ben distanziati, a pagare alla cassa, non ha niente che somigli all’acquisto tradizionale dei doni, quando restavi ore ad attardarti a scegliere, perché “Si sa che a Natale ci sono tante cose nei negozi e c’è l’imbarazzo della scelta”. Oggi non si sceglie: si compra e basta. E si compra poco, perché c’è anche il timore per un’economia bloccata e per tutte quelle scadenze che sono congelate ma che non potranno restare così ancora a lungo. E poi c’è la tensione per i tanti negazionisti o incoscienti che non rispettano le regole, trasformandosi in nemici anch’essi e cui dovere civile imporrebbe se non altro di rispettare la paura dell’altro (condivisa o meno che sia).
Ma tanta desolazione non può essere subita. Se il nemico non conosce tregua natalizia perché non è umano, noi umani lo siamo. E siamo creativi, siamo fantasiosi, abbiamo risorse che a volte non conosciamo nemmeno perché non osiamo sperimentarle. Non si tratta di fare a tutti i costi ciò che vorremmo fare, ma di fare al meglio ciò che possiamo fare: solo così l’essere umano sta bene, perché nessun nostro desiderio è mai appagabile se disincarnato e scisso dal contesto. E se il Natale è la festa della Nascita, forse allora questo Natale avrà un sapore più “natalizio” se sapremo dare alla luce la nostra creatività, adattandola alle condizioni di prudenza che il buon senso richiede. Forse una bella lettera scritta col cuore servirà più di tanti collegamenti video impossibili per un anziano. Forse un regalo fatto a mano ed inviato saprà riempire il cuore più di tanti pacchetti scintillanti. E forse, secondo me, qualche telefonata o qualche visita in più durante l’anno sarebbe servita a rendere oggi più tollerabile che non ci si incontri a Natale, perché quando le relazioni sono piene e autentiche non temono la distanza, sopportano le restrizioni e sanno riscaldare i cuori anche senza contatto fisico. Se, potendo, abbiamo fatto tutto il possibile, restiamo sereni quando, non potendo, non facciamo. Un dono da fare a noi stessi potrebbe essere allora anche un buon proposito.
L’augurio allora è che possiamo sperimentare un’audacia non arrogante né estranea al dolore e al timore, ma che sappia strappare un sorriso e portare serenità nonostante il dolore e il timore. Non depositiamo un bambinello nella grotta pensando con rabbia e tristezza a chi è assente quel giorno nella nostra casa, ma deponiamo nel nostro cuore un pensiero di gratitudine per tutti coloro che ci tengono nel loro cuore e che vogliamo tenere nel nostro cuore. Neanche Giuseppe e Maria dovevano essere tanto allegri a trovarsi in una stalla, ma c’era qualcosa di più importante che riscaldava i loro cuori. Accendiamo una cometa nuova nella nostra vita! Buon Natale allora, Buona Nascita di cose belle nei nostri cuori e nelle nostre relazioni!
Agata Pisana
Docente Master in Counselling Socio-Educativo