«La speranza è nella sua forma germinale un’apertura indefinita, fondata sopra una inconsapevolezza vitale, perché chi spera ignora il tempo della propria morte, mette l’evento della propria morte tra parentesi, grazie alla sua vaghezza temporale, al fatto che l’ora della morte non è fissata, che ci è provvidenzialmente sconosciuta» (Sichera, 2014).
Sperare in senso etimologico significa «tendere», affrettarsi verso una meta, protendersi verso un obiettivo. Di contro, la disperazione sarebbe in questa accezione l’essere condannati in modo certo alla conoscenza del tempo e dell’ora della propria morte. Secondo Dostoevskij questa è la prova più disumana che si possa subire, ed egli fu proprio costretto a sperimentare ciò: condannato a morte, in attesa di fucilazione, bendato, messo al muro, in riga e poi graziato in extremis: un supplizio inenarrabile, che lo segnerà per sempre nell’animo e si rifletterà nelle sue opere.
Il trauma della mancata fucilazione fu scientemente e crudelmente organizzato dal plotone di esecuzione che aveva l’ordine di comunicare la grazia concessa dallo Zar e la commutazione della pena di morte ai lavori forzati, solo all’ultimo secondo della farsa inscenata sul patibolo. Questa esperienza di morte imminente e di perdita di speranza nella vita è ricorrente negli scritti di Dostoevskij, in particolare, nell’opera l’Idiota, quando il principe Myškin racconta di un uomo condotto al patibolo che sapendo di poter usufruire degli ultimi 5 minuti di vita, inizialmente pensava a come utilizzarli e gli sembravano interminabili, al punto che alla fine desiderava fosse fucilato al più presto.
Si tratta di una esperienza di imminenza della morte che non riguarda solo situazioni di guerra, ma anche vissuti di malattia grave sia a livello organico che mentale. Su quest’ultimo punto, nel mio libro “La spiritualità è cura: la forza dell’amore nel dolore”, narro nel dettaglio l’esperienza clinica psichiatrica di una madre convinta che il proprio figlio diciottenne fosse in procinto di morire, al punto da condizionare con il suo dire e agire talmente il ragazzo che questi si immobilizzava nei movimenti e “recitava”, per certi versi, il ruolo del morto: una follia a due!
PAOLA ARGENTINO (Germogli di speranza, n.5-2025)
«La speranza è nella sua forma germinale un’apertura indefinita, fondata sopra una inconsapevolezza vitale, perché chi spera ignora il tempo della propria morte» (Sichera, 2014).
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