Educare è – ancor di più in questo momento storico post emergenza socio-sanitaria – costruzione di relazioni docente-allievo autentiche. L’invito, che ho posto in essere al Festival della Comunità educante di Faenza, è di uscire “tutti fuori” dalle maschere e dagli schermi digitali oscurati o falsati della DAD, ma anche dalle “maschere” burocratiche che ingessano le relazioni educative.
Per il grande drammaturgo siciliano Luigi Pirandello le maschere rappresentano la frantumazione dell’io in identità molteplici ed un adattamento dell’individuo al contesto sociale. Egli parlava di “recita del mondo”: l’umanità vive in un perenne palcoscenico ove si esibisce la schizofrenia tra l’essere e l’apparire di ciascuno, c’è una maschera per la famiglia, una per la società, una per il lavoro. E quando stai solo, resti nessuno (dall’opera: “Uno, nessuno e centomila”).
Ma un educatore non può indossare maschere per insegnare, per apparire tale, intanto perché verrebbe scoperto subito, smascherato impietosamente dai discenti, e fallirebbe nel suo compito relazionale, e poi perché tradirebbe l’essenza stessa del suo essere docente.
A tal proposito è estremamente significativo il pensiero di Tolstoj sul ruolo di un educatore: “Un buon insegnante deve avere una buona vita, e una sola è la caratteristica generale e principale di una buona vita: l’aspirazione al perfezionamento dell’amore. Egli deve essere intimamente volto alla pratica dell’amore e alla ricerca della verità, illuminato da una parola: autenticità.”.
In russo esistono due parole per il concetto di verità: pravda, verità alla quale si giunge attraverso un processo razionale e istina, verità che trascende un processo puramente raziocinante e ha più a che fare con l’autenticità. Tolstoj anela all’istina, quello stato interiore in cui l’adulto sceglie di stare di fronte al bambino, coltivando un rapporto profondamente sano.
Più che parlare e teorizzare è importante che gli educatori cerchino di vivere la propria esistenza nella ricerca di ciò che è vero e giusto. Se lo faranno i bambini (e non solo, a mio avviso ma tutte le età) saranno capaci di riconoscerli e li seguiranno naturalmente. Questa l’essenza del metodo di Tolstoj: ciò che più conta è la vita vissuta, le azioni che scegliamo di compiere, che ci portano vicini all’amore e alla verità, con onestà, sincerità ed autenticità.
Il mio punto di vista, da psicoterapeuta della Gestalt, integra il pensiero di Pirandello e Tolstoj, e considera l’insegnare a prescindere dal come (ovvero del modello operativo) e dal cosa (la natura dell’apprendere) per consegnarlo a quel quid che precede il come e il cosa, e dà loro senso e valore: la relazione.
Per me insegnare è…
tessere l’arte dell’incontro e…
intrecciare relazioni autentiche.
Paola Argentino
Direttrice Istituto di Neuroscienze e Gestalt Therapy “Nino Trapani”
e Condirettore Master e Docente Università Cattolica Sacro Cuore